Archivio per marzo, 2015

Le dimissioni del Ministro Lupi hanno chiuso una giornata intensa, dove per la prima volta sembra essersi incrinato quell’equilibrio che sostiene il Governo. Gli esponenti di NCD non hanno gradito il silenzio degli alleati di Governo, tanto che per voce di Cicchitto è arrivata una tremenda stoccata agli indagati del PD, un colpo che Renzi ha incassato senza ribattere, per un motivo ben preciso, ossia la tenuta dell’esecutivo. Mentre Lupi leggeva il suo discorso di dimissioni, Alfano scrutava l’aula, con la tipica espressione di chi ha tradito per salvare la poltrona. In un paese normale il Governo Renzi sarebbe già caduto, ma in Italia no. Il premier continua a ripetere che “Bisogna fare le riforme e che l’Italia deve cambiare”, ma lo fa con meno entusiasmo rispetto a maggio, probabilmente perchè preoccupato della tenuta economica del paese, che nonostante i proclami e le ottimistiche previsioni di crescita, continua ad arrancare. Nella giornata odierna, mentre tutti i media si soffermavano sul caso Lupi, è arrivata anche la notizia dell’ennesimo allungamento dell’età pensionabile. In sostanza gli uomini andranno in pensione a 66 anni e 7 mesi, le donne un anno prima. Ci chiediamo come l’abbiano presa diversi milioni di italiani che si apprestavano a prendere la meritata pensione e ci chiediamo come l’abbiano presa i giovani, penalizzati da questo scostamento. Far lavorare qualche mese in più gente in età pensionabile, produrrà automaticamente un ritardo dell’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ma soprattutto un calo di rendimento delle performances dei soggetti in età pensionabile, come dimostrato da alcuni studi. Ci chiediamo quante pensioni si sarebbero potute pagare senza il cancro della corruzione, quanti giovani avrebbero già potuto trovare un lavoro. Ma la corruzione non finisce con le dimissioni di Lupi e l’arresto di Incalza. Cantone  

 ha dichiarato: “Non credo che Ercole Incalza sia l’unico dirigente coinvolto in un caso di corruzione, credo che il sistema sia più esteso e che siano molti gli Incalza ancora all’opera”. La pressione mediatica esercitata dalle opposizioni ha avuto un ruolo decisivo nella vicenda delle dimissioni di Lupi. Se l’opposizione avesse dormito, il ministro sarebbe ancora al suo posto. Se il Pd in 20 anni di Berlusconismo avesse interpretato a dovere il suo ruolo di opposizione intransigente, oggi l’Italia sarebbe un paese migliore, invece ha pensato bene di fare per diversi anni una finta opposizione, per poi gettare la maschera e dimostrare la sua profonda sintonia con il Cavaliere, attraverso la condivisione del “Patto del Nazareno”, quel patto che ha consentito che passassero alcune riforme e che probabilmente potrebbe risorgere a breve dalle ceneri, magari dopo le elezioni regionali, perchè ora non è il caso di fare accordi, gli elettori non capirebbero.

Pallottoliere

Pallottoliere.

C’è chi sostiene che il mondo del calcio sia un sistema dove si guadagna tanto e si ottengono grandi soddisfazioni economiche nel tempo. A guardare i dati forniti ieri da La Repubblica ci sorge peró qualche dubbio. La fotografia del mondo del pallone,visto come azienda calcio, appare piuttosto sbiadita. Sebbene il calcio abbia un impatto positivo sul prodotto interno lordo del paese, (si stima che valga più o meno lo 0.6%), negli ultimi tempi i ricavi sembrano essere inferiori alle uscite, ma non certo di poco, ma più del doppio. Si stima che i ricavi complessivi della nostra Serie A abbiano toccato nella scorsa stagione la cifra di 1,6 miliardi, con le uscite che hanno raggiunto ormai i 3,3 miliardi. Le società più indebitate sono la Juventus con 279 miliardi, il Milan con 269 mld, seguite da Inter e Roma che vantano un debito di poco inferiore a quello dei rossoneri. Se si pensa che solo queste quattro societá hanno raggiunto un debito di quasi un miliardo di euro, si capisce che il sistema calcio è ormai prossimo al default. Il dramma del Parma è l’immagine di un mondo non piú attrattivo, in cui molto spesso sguazzano cercatori di carogne, attentissimi all’immagine, ma allo stesso tempo poco credibili e attendibili alla prova dei fatti. Il Parma calcio rischia seriamente di scomparire dal calcio che conta, ha un’esposizione debitoria che non gli permette più di pagare gli stipendi ai giocatori, ma soprattutto ai vari magazzinieri e addetti alle manutenzioni del centro sportivo, inquadrati con contratti da 1500 euro al mese. Per una volta, sia i giocatori, sia gli addetti, sono sullo stesso piano. Entrambi non percepiscono infatti gli stipendi da 8 mesi.

A preoccupare non è tanto il fallimento di un glorioso club, fatto certamente traumatico e meritevole di attenzione, ma la mancanza di prospettive per il futuro, l’assenza totale delle istituzioni calcistiche che da tempo conoscevano la situazione. In un periodo storico in cui milioni di famiglie italiane tirano la cinghia, ci si domanda se vale la pena di continuare a tenere in piedi un carrozzone del genere. Se un’impresa ricava meno di quanto spende, rischia di chiudere, e non sempre riesce ad accedere a prestiti o fidejussioni in grado di allungargli la vita. Lo stesso criterio dovrebbe valere anche per il mondo del calcio, da anni poco incline alle regole. Per ripartire servono tagli decisi al monte ingaggi e rose costruite con elementi provenienti dal settore giovanile. La stessa idea di stadio dovrá essere cambiata. Non più cattedrali nel deserto, ma centri polifunzionali costruiti con tecniche innovative e rispettando le esigenze dei vicini residenti. Siamo all’anno zero, forse qualcuno non se ne rende ancora conto, ma purtroppo é cosí. Se Tsipras ha avuto il coraggio di dire basta al calcio greco, ritenendolo una spina nel fianco a causa dei numerosi episodi di violenza, ci chiediamo perchè i vertici del calcio italiano non abbiano il coraggio di dire basta a un sistema barcollante, dove solo in pochi possono definirsi soddisfatti. All’Italia non servono ricette miracolose, ma semplicemente una migliore gestione delle risorse, da allocare in seguito in settori strategici per il paese: telecomunicazioni, innovazione, Green economy, mondi ancora poco esplorati ma potenzialmente floridi. Sono questi i settori in cui potrà esserci una positiva ricaduta occupazionale, tutto il resto è noia, così cantava il grande Califano.

Angela Merkel,

Angela Merkel, Cancelliera tedesca.

Era da parecchio tempo che i telegiornali non aprivano con notizie riguardanti lo spread, ma siccome al peggio non c’è mai fine, nelle ultime 36 ore hanno recuperato il tempo perduto, somministrandoci elevate dosi di ottimismo legate a una flebile ripresa economica. E pensare che negli ultimi 8 anni abbiamo perso circa il 9% del prodotto interno lordo, il 25% della produzione industriale, facendo segnare un -57% di investimenti stranieri. Nessuno ha voglia di farsi etichettare nella categoria degli “amici gufi” tanto indigesti al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dunque si preferisce nascondere la testa sotto la sabbia come lo struzzo e guardare solo le notizie positive, dimenticandosi del tracollo economico provocato da anni di politiche demenziali basate sulle teorie dell’austerity. Ma cosa ha prodotto l’austerity? Sicuramente tanti danni, su questo non vi sono dubbi. Le politiche di austeritá hanno negli anni impedito ai governi una programmazione seria sulle politiche sociali. Nonostante il nostro paese abbia circa 16 milioni milioni di persone a rischio povertà, si continua a portare avanti un disegno europeo che pian piano soffoca il paese. Lo spread, che tanto interessa ai guru della finanza, permetterà certamente un risparmio sugli interessi legati al debito, ma creerà nella percezione degli italiani una falsa aspettativa. Che lo spread scenda è cosa positiva per i governi e per il loro debito, ma incide minimamente su quella parte di popolazione che una volta veniva definita ceto medio. Diversi milioni di persone, perlopiù piccoli imprenditori, commercianti, liberi professionisti e partite IVA, oggi vivono un momento molto difficile, per via di politiche e provvedimenti che hanno profondamente colpito i loro settori.

Quello che però preoccupa di più è la mancanza di una visione politica che guardi al futuro, ma soprattutto la mancanza di una classe politica in grado di dare delle risposte. L’Europa ha tolto sovranità ai governi nazionali e senza margini di manovra c’è poco da fare. Servirebbero investimenti consistenti in settori strategici come le energie rinnovabili, scuola e cultura, ma le risorse che vengono destinate sono insufficienti per far decollare il paese. Senza risposte e senza poter essere ascoltati, i cittadini si isolano e si allontanano dalla partecipazione politica, provando a dare l’ultima chanche a un giovane che prometteva di cambiare l’Italia. Renzi ha certamente ottenuto un consenso molto importante alle ultime elezioni europee, ma ha bruciato la sua prima carta, il bonus Irpef di 80 euro, che non ha inciso sulla ripresa dei consumi come invece si era ipotizzato. L’elezione di Mattarella aveva ricucito lo strappo con la minoranza dem, ma nelle ultime ore il segretario é finito sotto il fuoco amico per la gestione delle assemblee e del partito, ma soprattutto perché ritenuto sordo davanti alle richieste di modifica della legge elettorale. Renziani e Bersaniani sono ormai ai ferri corti, e mentre litigano al loro interno, l’Italia arranca e continua a boccheggiare. A respirare a polmoni aperti è invece la Germania, che detta la linea in Europa, respingendo qualsiasi modifica alle politiche di rigore. Per saperne di più chiedere a Renzi (che ha sprecato un semestre europeo senza riuscire a cambiare niente), e al povero Tsipras, costretto ad accettare le condizioni della Troika guidata dalla cabina di regia tedesca. E poi non stupitevi se madame Le Pen, Matteo tombinidighisaSalvini, guadagnano consensi puntando il dito contro certe politiche. Continuando di questo passo a scomparire non sarà solo il ceto medio, ma gli italiani.