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barcone,immigrazione

Barcone, immigrazione.

Da qualche giorno è tornato alla ribalta un tema molto caro all’opinione pubblica, quello dell’immigrazione, tema che da anni divide il paese in due. Parlare di immigrazione oggi è rischioso, ci si espone ad attacchi che spesso vengono fatti per creare caos e,quasi sempre, chi ne parla in una certa maniera è definito xenofobo. L’immigrazione è un fenomeno sociale molto complesso che negli ultimi anni ha assunto però dimensioni esagerate. La gestione dei flussi ha creato diverse polemiche nell’ultimo anno ed è giusto sottolineare come l’Europa sia lontana anni luce dal trovare un accordo per affrontare la problematica. Oggi il Mediterraneo è divenuto un’autostrada del mare, con i fondali trasformati in veri e propri cimiteri per migranti, ma nonostante questo l’Unione Europea non fa nulla per migliorare la situazione. Quello che è certo, è che alcuni paesi membri che oggi si rifiutano di collaborare, sono gli stessi (eccetto la Germania) che hanno provocato il conflitto libico e agguantato fette di interessi non indifferenti. L’Italia è completamente isolata e non è in grado di reggere da sola il sistema di accoglienza, che nel tempo ha acquisito una serie di storture che hanno generato un vero sistema criminale, almeno questo ipotizzano le numerose inchieste in corso. Ma detto questo, sarebbe importante capire cosa ne pensano gli italiani e, se l’Italia sia in grado (e per quanto) di reggere ai continui sbarchi che da settimane si susseguono.

È poi bizzarro il modo in cui alcuni governatori della Lega Nord affrontano la problematica. Maroni ha sostenuto di voler tagliare i fondi ai Comuni che accoglieranno gli immigrati, ma quel che ha sostenuto è pura demagogia poichè non è possibile farlo. La stessa Lega che oggi protesta e si mette sulle barricate, è la stessa forza politica che ha varato in passato il pacchetto di provvedimenti che oggi regolano l’accoglienza. La stessa Lega che oggi minaccia di occupare le Prefetture, dimentica di aver votato in passato tutti i trattati internazionali che attualmente regolano la gestione dei flussi. Le parole di Maroni non sono altro che l’ennesimo slogan da campagna elettorale, anche se, parte delle ricette offerte dalle opposizioni, dovrebbero essere valutate da Renzi. Istituire agenzie di identificazione gestite da più paesi, è una scelta giusta, ma sarebbe altrettanto giusto che si rivedesse il Trattato di Dublino, quel trattato che ci obbliga a tenere sul nostro suolo i migranti sbarcati. L’Italia non deve aver paura dei flussi migratori, ma è chiaro che non può trasformarsi in un grande centro d’accoglienza.

I migranti vanno identificati e divisi in modo equo tra i paesi membri, ma serve soprattutto un lavoro diplomatico per trovare dei validi interlocutori aldilà del Mediterraneo, nella polveriera libica dove i migranti sono divenuti merce usata per finanziare i gruppi terroristici e le bande criminali. Sarebbe una pazzia intervenire militarmente, ma sarebbe invece intelligente creare un fronte di liberazione della Libia, per arrestare l’avanzata dell’Isis e le violenze. Fin quando la Libia non riuscirà a trovare una stabilità, gli sbarchi non cesseranno. L’occidente non pensi nemmeno di inviare truppe d’invasione in Libia, farebbe il gioco dei terroristi e incentiverebbe i flussi. È triste da dire, ma al momento una soluzione alla crisi libica non esiste, ed è per questo che oggi l’immigrazione fa paura. Regolamentare il fenomeno è necessario, strumentalizzarla per un pugno di voti è barbaro.

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Capire le dinamiche della politica italiana non è mai semplice. Lo scenario muta con una velocità talmente elevata che spesso gli elettori non riescono a comprendere le mosse e le strategie dei partiti. Questo sta succedendo anche in questi giorni. Accade che in seguito ai risultati delle elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna, la politica italiana compie l’ennesima metamorfosi e cerca di riposizionarsi per riuscire a intercettare il massimo numero di consensi in vista delle prossime elezioni politiche che ormai sembrano essere sempre più vicine. Per capire come potrebbero andare le cose nei prossimi mesi, bisogna fare l’identikit delle forze politiche in campo e studiare cosa sta succedendo al loro interno. Partiamo da Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi e Dell’Utri, oggi in grande difficoltà, costretto ad accettare l’abbraccio mortale di Matteo Renzi, che quasi come un pitone sta stritolando la creatura politica che per 20 anni ha dato le carte. Berlusconi sa benissimo che il suo partito non ha più ambizioni di governo, basta guardare gli ultimi sondaggi per capire che gran parte dell’elettorato sta travasando nella Lega Nord di Matteo Salvini, una forza più radicale che sta però spaventando quegli elettori moderati che in parte hanno deciso di puntare sul PD (si veda il risultato di Renzi nel Nord-Est), ma che nella maggioranza dei casi si sono astenuti dal voto delle ultime regionali. Perchè? I motivi sono tanti, ma cercherò di sintetizzare per rendere l’analisi comprensibile e chiara. L’elettorato di Forza Italia era costituito da imprenditori, pensionati, piccole e medie imprese, professionisti. Buona parte di queste categorie, avevano scelto Berlusconi come cavallo su cui puntare, ma all’indomani della decadenza dal Senato lo hanno mollato, puntando su altre forze politiche, oggi rappresentate dal Pd. Il Nord Est ha abbandonato Forza Italia e si è aperto a Matteo Renzi, secondo alcuni ultima speranza. Nel 2013 avevamo invece assistito a un fenomeno analogo, allorché gli imprenditori veneti si affidarono al Movimento Cinque Stelle di Grillo e Casaleggio. Da allora sono cambiate tante cose e si è assistito al fenomeno della resurrezione della Lega Nord, ridotta in cenere dagli scandali interni e tornata a buone performances di consensi con l’elezione del nuovo segretario Matteo Salvini. La campagna elettorale di Salvini dalle Europee a oggi si è basata principalmente su temi quali il ritorno all’euro, immigrazione clandestina, sicurezza, tasse e difesa del Made in Italy. Il messaggio di Salvini ha attecchito a livello comunicativo, riportando la Lega a livelli alti, e nascondendo gli scandali interni che avevano raso al suolo il partito, pensiamo ad esempio alle inchieste sui figli di Bossi e a quelle che coinvolsero l’ex tesoriere Belsito. La scelta di orientare la Lega verso un’alleanza con il Front National di Marine Le Pen, ha fatto si che in Italia si cavalcasse l’onda della paura e si affrontasse con asprezza il tema immigrazione, al limite del razzismo. C’è poi il Movimento 5 Stelle, al momento in fase di trasformazione e intento a riorganizzarsi in seguito ai deludenti risultati ottenuti alle ultime regionali. La cavalcata del 2013 è ormai un lontano ricordo, Grillo stesso ha deciso di creare un gruppo di cinque parlamentari a cui affidare la gestione delle linee guida pentastellate. Che Grillo avesse intenzione di far camminare la sua creatura con le proprie gambe, lo si era capito a Roma all’evento “Italia a 5 stelle”, dove ha rimarcato la bravura di alcuni parlamentari, che non a caso oggi costituiscono il “direttorio”. Si tratta principalmente di una scelta forte, una scelta dovuta che potrebbe essere percepita come una grossa novità. Quando verranno placate le diatribe interne, molto probabilmente si passerà a una fase due. Renzi non avrà più Grillo come interlocutore, ma molto probabilmente Luigi Di Maio, uomo forte del Movimento 5 Stelle a cui spetta il compito di ricompattare i gruppi parlamentari e mantenere i rapporti con il territorio e gli attivisti. Bisognerà vedere come si comporterà Renzi in occasione dell’elezione del nuovo Capo dello Stato. È quella la partita principale a cui devono assolutamente partecipare i pentastellati. Poter imporre o condividere un nome, sarebbe una delle più grandi vittorie politiche della storia, ciò significherebbe spingere all’angolo Berlusconi e divenire il primo interlocutore del Governo. Non sappiamo se Renzi bluffi, aprendo ai grillini nel tentativo di svuotarli dal ruolo di opposizione (lo ha già fatto con Berlusconi con conseguenze tragiche per Forza Italia), ma sappiamo che l’asse M5S-PD ha tenuto in occasione dell’elezione dei giudici costituzionali, sbloccando il Parlamento da una empasse che aveva paralizzato il sistema. Quello che appare certo é che nessuna forza politica gode di buona forma in questo momento, nemmeno il Partito Democratico, che deve interrogarsi sul netto dato di astensionismo riscontrato alle regionali e alle primarie di ieri in Veneto. Nessuno all’interno del Parlamento ha i numeri per eleggere il Presidente della Repubblica, dunque qualsiasi forza politica potrebbe divenire decisiva in quel frangente. Di Maio e company si stanno preparando a una delle battaglie più grandi, alle elezioni europee e regionali si sono perse delle battaglie, la guerra é ancora in corso e non è detto che a perderla sarà il M5S. La politica muta velocemente e l’elettore esige risposte, l’elettorato è troppo liquido per spingersi in previsioni catastrofiche sulle sorti del Movimento, passatempo preferito dei giornali in questi giorni. Ai posteri l’ardua sentenza.

L’informazione  in queste ore ha dato ampio spazio all’argomento spread, sottolineando con entusiasmo il raggiungimento di  un differenziale Btp/Bund  inferiore ai 200 punti, con tassi di interesse pressoché stabili ma certamente non ancora del tutto ottimali. È ripreso pertanto il dibattito sull’importanza dello spread e quasi tutti i sostenitori delle politiche di austerità hanno rilasciato dichiarazioni trionfalistiche, sottolineando in particolare la possibilità di risparmiare miliardi di euro che altrimenti avremmo dovuto pagare in interessi. Quando Silvio Berlusconi fu costretto a dimettersi nel Novembre 2011, lo spread nel momento di massima crisi raggiunse i 580 punti, un valore enorme che se fosse rimasto invariato ancora per poco, secondo alcuni economisti avrebbe portato il Paese al default. Il resto è storia recente, Monti subentrò a Berlusconi e si formò un Governo tecnico appoggiato da un’ampia maggioranza (un anticipo di larghe intese), che ancora oggi non riscuote grande simpatia, come del resto l’attuale esecutivo che probabilmente ha ormai raggiunto il grado massimo di impopolarità. Sia chiaro che lo spread ha cambiato poco nell’economia reale e un grido di allarme é stato lanciato nella giornata di ieri da Federconsumatori. Secondo i dati raccolti dall’osservatorio nazionale Federconsumatori, i dati Istat sull’inflazione sarebbero sottostimati e darebbero una fotografia irreale dell’attuale situazione economica. Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti sottolineano che: “La crescita pressoché incontrollata di prezzi e tariffe, unita al progressivo peggioramento delle condizioni economiche dei cittadini, ha fatto letteralmente crollare i consumi, con un calo dell’ 8,1% equivalente a 60 miliardi di euro”. Nel comunicato consultabile sul sito http://www.federconsumatori.it si legge anche un accorato appello: “Le famiglie non ce la fanno più! Occorre intervenire al più presto avviando un piano di rilancio per l’occupazione e la crescita”.

In effetti appare abbastanza evidente che il problema principale sia quello della disoccupazione, la quale si attesta al 12,4 % e raggiunge addirittura una percentuale superiore al 40% tra i giovani. Per ora non si vedono soluzioni in grado di invertire i trend negativi, ma aspettiamo fiduciosi (per la verità poco) la scossa tanto sbandierata dal Premier Enrico Letta che oggi ancora latita. Si fa poco per aiutare le imprese a creare lavoro, gli imprenditori denunciano da tempo una tassazione eccessiva, che definiscono da cappio, che unita alla crisi, ha prodotto un disastro senza precedenti, paragonabile allo scenario economico dell’immediato periodo post-bellico. Non si tratta di frasi scritte per impressionare, ma delle riflessioni del Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, particolarmente critico nei riguardi della ricetta economica del Governo Letta. Intanto le opposizioni che da tempo giudicano insufficienti le misure economiche, sono sotto attacco mediatico. Non c’è giorno in cui non si leggono critiche o peggio falsità sulle forze di opposizione. Particolarmente bersagliato é il Movimento Cinque Stelle, ma non mancano colpi bassi anche nei confronti della Lega Nord e di Sel. I pentastellati e i leghisti stanno attuando un’opposizione durissima, preparando al meglio la campagna elettorale per le elezioni europee e mettendo soprattutto in evidenza gli errori grossolani compiuti dal Governo e sottolineando gli scarsi risultati dello stesso. L’attacco contro M5S e Lega é il chiaro segnale che l’Europa teme un fronte anti euro, fronte che anche in Francia sta riscuotendo consensi, grazie a Marie Le Pen e che nel Regno Unito ha in Nigel Farage il principale interprete. La vera partita si gioca sull’economia, non sulla legge elettorale. Presentarsi alle prossime europee con risultati insufficienti, per le forze politiche al governo sarebbe un dramma, il rischio di subire una pesante sconfitta sarebbe elevatissimo ed é per questo che si spinge molto sul tema del populismo e dell’antisemitismo. Creare degli spauracchi ed evocare determinati periodi storici, serve a distogliere l’attenzione dal vero problema, l’economia, dal fallimento delle politiche di austerity, ed è per questo che negli ultimi giorni sono ricomparse parole come fascismo e nazismo, due ideologie che nulla hanno a che vedere con Lega e Movimento Cinque Stelle e che in sostanza servono a nascondere la vera dittatura, quella economica imposta dall’Europa.

Domenico Varano

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La lunga giornata di Enrico Letta si conclude in serata con una nuova fiducia al suo Governo, fiducia scontata ma ottenuta in una giornata ad alta tensione. È un Premier diverso quello che si presenta in mattinata a Montecitorio, agguerrito e aggressivo, a tratti nervoso, specie quando ingaggia un “duello verbale” con la parte più dura dell’opposizione, quel Movimento Cinque Stelle a cui Letta chiede in modo sprezzante di non votare la fiducia, perchè populista. Il duello verbale tra Letta e Nuti rimarrà di certo nella storia, quel “faccia di bronzo” esclamato dal parlamentare grillino non è andato proprio giù al Presidente del Consiglio. In seguito ci penserà il Deputato Alessio Villarosa a rincarare la dose, accusando Letta e la maggioranza di non aver mantenuto nessuna delle promesse fatte ai cittadini, dall’abolizione delle Province all’abolizione dei rimborsi elettorali, passando per la mancata abolizione dell’IMU che cambia nome ma che in sostanza resta. M5S, Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Sel, decidono di non votare la fiducia a questo Governo, ritenuto acefalo e delegittimato, l’espressione di una partitocrazia lenta e disperatamente arroccata alla poltrona. Si va avanti, si gioisce per una crescita zero e si punta il dito contro il dilagare del populismo.

Non ci siamo, il problema è un altro ed è piuttosto serio. Se nel paese esiste rancore e rabbia, un motivo ci sarà, qualcuno avrà alimentato il fuoco delle proteste e quel qualcuno oggi finge di non vedere i problemi della quotidianità, quelli che oggi la gente esasperata porta in piazza. Il Presidente Letta non faccia come fanno gli struzzi, non nasconda la testa sotto la sabbia, quella gente che oggi infiamma le strade e blocca l’Italia, non è altro che il tessuto sociale italiano che pian piano, anno dopo anno è andato disgregandosi. Ottenere la fiducia in Parlamento è un fatto numerico e politico, ottenere quella dei cittadini è ancor più importante. Oggi la maggioranza degli italiani vive in condizioni di vita disagiate, si sono acuite le diseguaglianze sociali e sono risorte nuove tensioni che non si vedevano da anni. La causa generante queste proteste è nota a tutti, la politica dell’austerity è la principale responsabile ed è inutile nasconderlo, oramai anche i bimbi lo hanno capito. Si faccia una legge elettorale decente e si torni al voto, non si tenga in piedi un esecutivo solo per il gusto e l’ostinazione di arrivare al semestre europeo, potrebbe essere troppo tardi e il popolo potrebbe non reggere questa scelta. Concludo dicendo che il Presidente Letta avrà ottenuto la fiducia dalle Camere, ma da tempo ha perso quella degli italiani, i quali non ne possono più e chiedono un vero cambiamento e non le solite operazioni di facciata.

Domenico Varano